Palermo. 3 settembre 1982, 42 anni fa l’uccisione del prefetto C. A. Dalla Chiesa

  • di Redazione Il Solidale
  • 4 set 2024
  • CRONACA

Palermo. 3 settembre 1982, 42 anni fa l’uccisione del prefetto C. A. Dalla Chiesa
Palermo. Il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha partecipato ieri mattina a Palermo, in rappresentanza del Governo, alla cerimonia in ricordo delle vittime dell’attentato di via Carini del 3 settembre 1982, nel quale persero la vita il prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente della Polizia di Stato Domenico Russo.
Al termine delle commemorazioni Piantedosi ha fatto visita alla Chiesa di San Domenico e al Complesso monastico di Santa Caterina d’Alessandria, di proprietà del Fondo Edifici di culto del Viminale, dove sono stati inaugurati i lavori di restauro. «Sono convinto che, una volta completati i lavori, questi luoghi torneranno a splendere come simboli di fede, arte e cultura, aperti a tutti coloro che vorranno ammirarli e trarne ispirazione», ha dichiarato il titolare del Viminale.
Infine il Ministro ha visitato il Comando provinciale dei Vigili del fuoco del capoluogo siciliano per esprimere il suo apprezzamento a tutti gli operatori del Corpo nazionale per l’impegno e il coraggio con cui ogni giorno garantiscono le attività di soccorso negli scenari più complessi.
«Questa visita - ha sottolineato Piantedosi - è stata anche l’occasione per ringraziare i Vigili del fuoco che per giorni sono stati impegnati nelle attività per il recupero delle vittime del naufragio del veliero Bayesian. Un intervento portato avanti in condizioni molto difficili che, malgrado i tragici eventi, ha fornito l’ennesima riprova dell’impareggiabile capacità operativa dei nostri Vigili del fuoco, la cui professionalità è riconosciuta e apprezzata in tutto il mondo».
IL MESSAGGIO DEL MINISTRO
Il ricordo della strage di via Carini continua a interpellare le coscienze di ciascuno con una forza che supera l’esercizio di un doveroso atto di memoria. 
Questo perché il ricordo di Carlo Alberto dalla Chiesa è straordinariamente vivo. 
C’è qualcosa, nel suo esempio, che ha saputo suscitare e suscita ancora a distanza di 42 anni dalla morte il senso di un impegno autentico, profondo, incondizionato.
La figura di Carlo Alberto dalla Chiesa si staglia in maniera emblematica su larga parte della storia repubblicana del nostro Paese. Gli ultimi mesi come prefetto di Palermo sono solo l’ultimo breve capitolo di una vita dai tratti eccezionali al servizio del bene comune.
Carabiniere, figlio di carabiniere, resistente nel corso della seconda guerra mondiale, ufficiale dall’impegno intenso e assoluto ovunque sia stato richiesto il suo servizio: Milano, Torino, Firenze, Roma, Palermo.
L’autenticità del suo servizio alla Repubblica emoziona.
Ciò soprattutto perché Carlo Alberto dalla Chiesa negli anni più duri del contrasto al terrorismo prima e alla mafia poi ha saputo parlare agli uomini e alle donne, ai cittadini, alle comunità.
Parlare con il linguaggio integro di chi, chiedendo il rispetto della legge, è stato il primo a dare l’esempio, a non nascondere le difficoltà di un servizio che comporta l’esercizio di responsabilità e che impone sacrificio.
Il 2 giugno 1982, festa della Repubblica, il prefetto dalla Chiesa incontrò gli studenti del Liceo Gonzaga di Palermo e ad essi lanciò la proposta di un impegno comune contro la mafia.
Quei ragazzi lo avevano colpito, perché solo pochi giorni prima gli alunni della III A dell’istituto gli avevano indirizzato una lettera di benvenuto, ringraziandolo per aver accettato un incarico tanto oneroso quello, appunto, di prefetto di Palermo e in un frangente storico così difficile.
Quei giovani studenti avevano riconosciuto nel nuovo prefetto della loro città un uomo di autentica passione civile, un uomo che ringraziavano così scrivevano nella lettera “per i sacrifici in difesa dei diritti e della dignità dei cittadini”.
Perché quegli alunni, avvertendo l’autenticità dell’impegno di Carlo Alberto dalla Chiesa, andavano al cuore del problema: la mafia era ed è molto di più del compimento di azioni violente, dell’intimidazione, della prevaricazione, della spartizione di patrimoni accumulati illecitamente.
Gli allievi del liceo Gonzaga avevano già ben chiaro, quando ancora si stentava a parlare di criminalità organizzata, che la mafia era ed è negazione dei diritti di cittadinanza, negazione dei diritti di libertà, potere eversivo che si op-pone ai diritti sanciti nella Carta costituzionale.
Quei ragazzi avevano scelto un interlocutore di cui si fidavano e a cui offrivano il loro aiuto, scrivendo queste parole: «Desideriamo quindi dirle che il Suo operato per la difesa dei diritti umani e civili non passa inosservato ai nostri occhi e a quelli di tutti i giovani; al contrario, suscita in noi non soltanto una grande stima verso la Sua persona, ma soprattutto il desiderio e la volontà di dare un apporto costante e concreto alla nostra comunità cittadina sulla base di un amore attivo, disinteressato, e di un impegno sempre maggiore».
Credo che la freschezza di quella lettera abbia tanto da insegnare. Ci dice che gli occhi dei giovani sono attenti, che sanno distinguere il bene dal male, che sanno scegliere le persone di cui potersi fidare e da porre come esempio.
Sicuramente quella lettera ha emozionato il prefetto dalla Chiesa tanto che ha subito voluto incontrare quei ragazzi e poi tanti altri ancora.
Il generale-prefetto aveva colto l’importanza di parlare ai giovani e di coinvolgerli nell’impegno quotidiano a tutela dei valori fondanti del nostro ordinamento.
In coerenza con il fil rouge che ha contraddistinto l’intero corso della sua vita ispirando ogni sua azione alla difesa della libertà e della democrazia egli percepì la necessità di stimolare una reazione da parte delle comunità afflitte dalla presenza oppressiva delle mafie.
Questo era un ulteriore tassello aggiunto al suo modello nella lotta alla criminalità organizzata, frutto anche dell’esperienza di contrasto al terrorismo.
Carlo Alberto dalla Chiesa ebbe, in particolare, l’intuizione di guardare al fenomeno mafioso e alla guerra di mafia secondo un approccio globale e complessivo: egli capì che se la mafia agisce dividendo, la strategia vincente per contrastarla non può che essere quella della coesione.
La mafia temeva il prefetto dalla Chiesa, ne temeva il coraggio, l’esperienza e la grande capacità operativa.
Bastarono poche e precise dichiarazioni all’indomani del suo insediamento per prendere atto che il prefetto dalla Chiesa aveva compreso le nuove dinamiche mafiose e i pericolosi intrecci con la cd. zona grigia, esattamente quello che aveva consentito alle famiglie mafiose di consolidare la propria forza e di fare un salto di qualità nelle attività illecite.
Questo spiega perché la strage di via Carini ha segnato un avanzamento nell’attacco intimidatorio delle cosche allo Stato, colpendo un uomo simbolo della legalità, che aveva dato prova esemplare di straordinaria passione civile e di lucida determinazione nel contrastare ogni forma di crimine.
È anche a partire dalle sue intuizioni, dai suoi modelli investigativi e operativi che, negli ultimi 40 anni, l’impegno delle Forze dell’ordine, della magistratura, della società civile, assieme a nuovi strumenti investigativi e normativi, ha consentito di raggiungere risultati straordinari contro la criminalità organizzata.
Non c’è modo migliore per onorare la memoria del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente scelto della Polizia di Stato Domenico Russo che proseguire con determinazione nell’azione di contrasto alla mafia, non solo attraverso la repressione delle azioni criminali, ma anche con il recupero alla collettività dei beni provento di traffici illeciti.
Soprattutto, andando alla radice del problema, è necessario promuovere la cultura del bene comune, del rispetto dei diritti e della coesione sociale, sempre consapevoli come scritto nella lettera della III A del Liceo Gonzaga che ogni nostro gesto “non passa inosservato” agli occhi dei giovani.