Impressioni da Expo:"Uno sguardo sul presente con occhi del passato"
- di Redazione Il Solidale
- 14 lug 2015
- EVENTI
Se davvero l'uomo è la misura del mondo, l'Expo 2015 lascia l'impressione di un uomo generoso, diligente e pieno di buone di intenzioni; ma, d'altro canto, ottimista solo quando si affida alla tecnica, fiducioso solo sulla scorta dei meriti degli antenati, e unito solo di fronte a pericoli comuni, nella fattispecie, di natura alimentare. Un uomo, insomma, troppo modesto. E prudente al punto di preferire al titolo “Esposizione Universale” di memoria fascista quello blogger-friendly di “expo”.
Come qualcuno ha già notato, dell'Expo 2015 rimarranno tracce ancora meno significative di quelle dell'edizione usa-e-getta di Shanghai 2010, tranne la struttura inguardabile del padiglione italiano, indegna erede di simboli epocali come la Torre Eiffel di Parigi, o l'Atomium di Bruxelles. La cosa che più colpisce dell'uomo odierno è la sua rinuncia ad inventarsi una dimensione storica al di fuori dalle contingenze che ne segnano il quotidiano: quindi proietta nel futuro soltanto tecnologia, ossia la propria ombra.
Il problema alimentare fu posto senza mezzi termini da un uomo di chiesa prestato all'economia, Malthus, circa 150 anni fa: l'uomo si moltiplica esponenzialmente, le risorse per la sua sopravvivenza, invece, aritmeticamente. La risposta: l'industrializzazione dell'agricoltura e dell'allevamento per incrementarne la produttività. Il risultato: il degrado irreversibile della natura. Ci sono voluti più di due secoli, dai ministri francesi di Luigi XV ad oggi, per capire non sono illimitate le risorse del pianeta, bensì gli appetiti dell'uomo. Il tema dell'Expo non è una novità.
Così come non lo è la forma geografica dell'esposizione stessa, esercizio d'ingenuità che imita i pionieri – imprenditori e scienziati - dell'epopea positivista. Non sorprende che il mondo odierno che l'Expo sintetizza è, conforme allo spirito della manifestazione, tipicamente ottocentesco: diviso per stati nazionali che vantano le proprie industrie e concorrono in quanto modelli economici al “progresso” dell'umanità. Le ex-colonie sono ridotte alle materie prime alimentari che producono e suddivise in “cluster” tematici che ricordano scambi commerciali addirittura pre-industriali: cacao/caffè, cereali/tuberi, spezie. I paesi poveri di risorse, che dovrebbero essere al centro dell'Expo, poiché il tema è “nutrire il pianeta” sono relegati in periferia, in “cluster” di “zone aride” e “zone marine”. Aree deserte di nome e di fatto. Ma sono questi i paesi impoveriti soprattutto dalle attività di tutti gli altri.
L'Expo è quindi una sorta di sguardo sul presente con occhi del passato. Questo è il punto di vista dell'uomo comune, assorbito dalle faccende quotidiane, esperto specializzato esclusivamente nel proprio orto di conoscenze, che non è in grado di anticipare gli eventi, ma solo di prevedere esperienze già vissute. La comprensione del futuro è esattamente l'inverso: una consapevolezza attuale della storia. Il concetto è reso perfettamente con questa frase rivoluzionaria letta al padiglione irlandese: “la terra non la ereditiamo dai nostri padri, ma la prendiamo in prestito dai nostri figli”.
Detto ciò, l'Expo riesce nell'intento di far riflettere il visitatore accorto, ed è questa la vera novità rispetto alle edizioni passate, a cui si andava soprattutto per ammirare ed esaltarsi. E secondo me, lo fa nel migliore dei modi, cioè senza minare la fiducia dell'uomo in sé stesso. Ma anche nella maniera più difficile: cioè facendo riflettere non tanto sui suoi contenuti, quanto piuttosto sulle sue lacune. Marco Amuso