Raddusa, Gaye racconta il "Viaggio della speranza"
- di Redazione Il Solidale
- 8 ago 2016
- Migrantes 2.0
Gaye,24 anni, è un ragazzo africano originario del Mali, ora ospite del Centro di accoglienza di Raddusa dove si trova molto bene e ha instaurato uno splendido rapporto con gli operatori.
Coltiva diverse passioni, è uno sportivo e ha avuto modo di partecipare a molte iniziative quali gare di Karate e partite di calcetto.
Ma il viaggio che lo ha condotto in Italia non è stato semplice; ripercorre, con gli occhi bagnati dai ricordi, l'immagine di quella notte che gli ha stravolto la vita.
“Era il dodici giugno, siamo partiti dalla Libia in centotrenta, presenti anche molte donne. L'incubo è iniziato quando abbiamo visto l'acqua penetrare dal fondo del barcone; la gente ha iniziato a gridare, implorando aiuto, poi si è gettata in mare. Molti di loro, tra i quali i miei due amici, non ce l'hanno fatta”.
La pragmatica accettazione di chi non può far nulla dinanzi la disperazione altrui, il senso di impotenza che distrugge l'uomo, che ti spinge a pensare prima a te stesso, non per volontà quanto per necessità.
Impresse come segni indelebili, immagini che tutt'oggi, a distanza di due anni, gli disturbano il sonno; il ricordo di una donna che si aggrappa alla sua maglietta, ma di questo, Gaye, preferisce non parlare.
A salvarlo è stata una tanica di benzina vuota che gli ha agevolato il nuoto, durato tre ore, tra i cadaveri, mentre il sale gli bruciava la pelle.
“Non avevo paura, ormai credevo di non farcela, ma la Volontà di Dio ha voluto così”.
La Volontà di Dio ha voluto che le sue braccia forti raggiungessero la costa affinché tutti venissero a conoscenza della sua storia e che i meno fortunati di lui non venissero dimenticati.
È per questo che, nonostante il dolore, Gaye parla, racconta e scrive.
I suoi documenti e il suo diploma da elettricista li hanno inghiottiti le onde,assieme a centinaia di vite e di storie che hanno impedito la possibilità di tanta nuova consapevolezza, poiché nella società odierna, fondata sempre più sulla generalizzazione, sul pregiudizio e sulla strumentalizzazione, l'informazione è necessaria, il silenzio è connivenza.
Sara Cristofalo