Festa allo Sprar di Raddusa per i due anni di attività
- di Redazione Il Solidale
- 11 nov 2016
- SOCIALE
Il 28 ottobre scorso i dirigenti, gli operatori e i dodici migranti ospiti dello Sprar di Raddusa hanno festeggiato i primi due anni di attività della struttura. Sono passati appena due anni ma sembra già un secolo che nella città del grano vivono 12 giovani immigrati di colore che sono stati bene accolti dalla popolazione raddusana dopo gli sbarchi avvenuti a Lampedusa, ad Augusta, a Pozzallo ed a Palermo, salvati dalle motovedette della Guardia Costiera che li aveva raccolti prima che potessero annegare in alto mare a causa dell’avaria dei gommoni che li stavano trasportando verso la Sicilia.
Da due anni i nomi dei 12 ragazzi risultano scritti nel registro dello S.P.R.A.R. (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) di Raddusa e in quello del C.P.A. (Centro di Prima Accoglienza) di Caltagirone che gestisce tutti gli Sprar del calatino. Eccoli i loro nomi: Muhammad, Gueyn, Ibrahim, Adama, Lassana, Musa, Mamadou, Lamar, Omar, Mike, Javid e Bilal. Questi ragazzi, che vivono tutti i giorni a stretto contatto con i cittadini raddusani, sono consapevoli che essere stati bene accettati da un paese straniero che ha riconosciuto loro il diritto di esistere dopo i pericoli che hanno corso per raggiungere la “terra promessa”.
Al contrario di quei migranti che in Sicilia sono arrivati, e continuano ad arrivare, dal Marocco dalla Siria, dall’Egitto, dalla Libia e dall’Eritrea, i ragazzi ospiti dello Sprar di Raddusa sono arrivati dal Malì, dalla Nigeria, dalla Guinea Conakry, dal Gambia e dal Pakistan. Alcuni sono scappati dalla guerra e dalla fame ed a tutt’oggi non hanno ancora smaltito la sensazione di oscillare sul barcone che li ha sospinti verso la Sicilia. Essi sono approdati nella nostra terra spaesati e disorientati, con addosso pochissimi indumenti.
Quando vennero condotti presso il Centro di Accoglienza di Caltagirone non era facile capirli perché si esprimevano soltanto con i gesti. Solo qualcuno di loro tentava l’approccio masticando una lingua particolare che conteneva un misto di inglese, francese, portoghese. Di italiano non conoscevano che solo poche sillabe declinate con una fantasia coraggiosa e arrangiata come: ciao, amico, pace, grazie, fame, sete, pane e acqua.
Giunti a Raddusa, dopo avere vinta la loro battaglia contro la morte, cercarono di crearsi, riuscendoci pienamente, un pò di spazio in questo nuovo mondo improvvisando un modo per convincere se stessi che, nonostante le mille difficoltà incontrate nel corso del loro lungo e tormentato tragitto, erano salvi ed ancora vivi.
A Raddusa sono stati accolti con amore e, grazie all’impegno profuso dai responsabili e da tutti gli operatori dello Sprar, si sono integrati perfettamente nel tessuto sociale locale ed ora, che alcuni di loro hanno imparato a parlare bene anche il dialetto raddusano contano parecchi amici con i quali condividono il tempo libero della loro giornata fatta di studio e di varie attività integrative. Hanno studiato ed appreso le principali cognizioni della lingua italiana e di quella inglese ed hanno partecipato a svariate attività integrative sia nel sociale che nello sport.
Se, dopo due anni, i giovani ospiti della Sprar di Raddusa hanno raggiunto un ottimo livello di integrazione, buona parte del merito va dato, senza alcuna ombra di dubbio, alla coordinatrice responsabile dott.ssa Gaetana Pagana, all’assistente sociale Maria Grazia Caruso ed agli operatori Daniela Currao, Agata Maria Allegra, Patrizia Grasso, Giuseppe Paterniti e Gaetano Vitanza, insieme ai quali, il 28 ottobre scorso, hanno festeggiato i primi due anni della loro vita nella struttura dello Sprar di Raddusa.
Nella fotografia vediamo i giovani ospiti dello Sprar, in un momento della festa, con la loro Coordinatrice dott.ssa Gaetana Pagana e con alcuni operatori della struttura Sprar di Raddusa.
Francesco Grassia