"La violenza sulla donne è un fenomeno che tocca tutti da vicino"
- di Redazione Il Solidale
- 28 lug 2015
- SOCIALE
La violenza sulle donne in Italia è un fenomeno che tocca tutti da vicino perché in Italia ogni tre giorni una donna viene uccisa. Oggi, nella lotta alla violenza sulle donne, va prestata attenzione anche alle immigrate perché ogni giorno sbarcano in Sicilia migliaia di clandestini e di questi la metà sono donne. Raccapriccianti sono le varie testimonianze delle vittime che, dopo le estenuanti traversate, raccontano degli abusi prima della partenza e soprattutto sui “barconi della speranza”. Oggi affrontiamo l’argomento con la Dott.ssa Elisa Privitera.
Il fenomeno migratorio non gode di una dimensione di neutralità rispetto al genere. Le motivazioni che spingono una persona a lasciare il proprio Paese e le stesse dinamiche e modalità migratorie possono essere le più disparate e avere connotazioni diverse a seconda se chi migra è uomo o donna. I flussi migratori al femminile, in Italia come nel resto del mondo, sono determinati storicamente, principalmente a causa di crisi politiche, recessioni economiche, conflitti sociali o religiosi, guerre, pestilenze o calamità naturali come alluvioni, siccità e carestie. A queste cause si può aggiungerne una apparentemente meno contingente: la “ricerca della felicità”, ovvero la spinta a un futuro migliore, in cui realizzare i propri sogni di libertà, autonomia, emancipazione, professionalizzazione, arricchimento culturale ed economico.
Se alcuni decenni fa l’incidenza della migrazione femminile verso l’Italia riguardava donne provenienti da particolari aree geo-culturali (pensiamo alle donne provenienti dall’Eritrea, dalla Somalia, dall’Etiopia, ma anche dalle Filippine e dall'America Latina), oggi il fenomeno si è pressoché generalizzato, al punto che l’indice di eccedenza degli uomini stranieri rispetto alle donne straniere della stessa provenienza si è ridotto in maniera particolarmente rilevante nell’ultimo ventennio. In sostanza, su due persone immigrate, una è donna: un dato che porta a riflettere su come l’aumento delle donne immigrate abbia contribuito a equilibrare le presenze per genere. Ma con il nuovo fenomeno migratorio, al quale assistiamo ogni giorno, si tratta di donne estremamente vulnerabili, la maggior parte arriva viva, ma morta dentro. In genere si tratta di vittime di stupri spesso ripetuti. Abbiamo molte testimonianze di donne che hanno in particolare subito stupri per lunghi periodi durante le detenzioni in Libia.
Molte di queste donne mostrano segni evidenti di traumi psicologici. Hanno difficoltà a raccontare la propria fuga, i traumi e le violenze subite, spesso vittime di violenza sessuale. Pensiamo al dilagare degli stupri etnici, il più delle volte “merce” di scambio nel passaggio tra una “frontiera” e l’altra o durante le interminabili traversate sui barconi in partenza dal Nord Africa diretti verso la Sicilia. Tra i migranti stipati come bestie, in fuga dalla fame e dalla guerra delle proprie terre d'origine, si consumerebbero orrori di ogni tipo. Dagli ultimi dati rilevati risulta che circa il 60% delle donne immigranti ha subito traumi e sofferenze psicologiche e gli eventi più frequenti sono: “deprivazione materiale”, “scomparsa, morte o ferimento di persone care”, “lesioni corporee”, “condizioni di guerra”, “esser testimone di violenze sugli altri”, “tortura” e “isolamento forzato e coercizione” ma soprattutto durante questi viaggi in cerca di un futuro migliore per loro e per i propri figli, subirebbero, stupri, violenze, e torture.
Le cure per i pazienti che soffrono di patologie post-traumatiche richiedono un approccio complesso che tenga conto di diversi elementi: l'organizzazione dei servizi sociali e di salute mentale, la creazione di una rete assistenziale, le specificità degli interventi psicote-rapeutici e l'utilizzo dei mediatori culturali in una logica di “mediazione di sistema”.
In pochi pensano, anche negli ambienti socialmente più aperti, la necessità di avviare percorsi di reale tutela dal punto di vista psico-sociale a favore dei migranti che accogliamo nel nostro Paese. Ecco la nostra sfida più grande che deve partire già dallo “sbarco”.
Paura, angoscia, ansia e senso di vulnerabilità sono alcune emozioni che la donna abusata prova. Non può dimenticare, è difficile, ma il sostegno di uno psicologo è necessario per rielaborare, superare e rimuovere il trauma.
Questa figura, supporta le donne in relazione alle loro esigenze, si fa carico del dolore e del malessere, condividendo con il paziente/utente il trauma, attraverso empatia e ascolto attivo.
La vittima ha bisogno di parlare e raccontare l'accaduto, per scaricare l'ansia e la disperazione dovuta alla minaccia fisica, alla paura della morte e alla mancanza di sicurezza che sta sperimentando.
La donna abusata va ascoltata per capirne le sensazioni, senza fornire soluzioni ma permettendo l'elaborazione del suo vissuto. Ricostruire quella base sicura della teoria di John Bowlby, per consentire alla persona di affacciarsi al mondo e alla quale ritornare, sapendo di essere il benvenuto in caso di tristezza e spavento.
I passaggi del percorso di uscita dalla violenza sono:
-acquisire senso di sicurezza e autorizzarsi a scegliere;
-riconoscere le risorse personali, le forze e aumentare l'autostima;
-rivedere la storia del trauma in un ambiente protetto;
-ritornare ad avere una vita sociale e relazionale basata sullo scambio reciproco.
Il sostegno deve centrarsi sul rispetto e sulla centralità del potere decisionale della donna abusata; l'intervento è finalizzato all'attivazione della gestione della vita della donna che va formando una nuova identità.