Trump, Starbucks e l'Italia
- di Redazione Il Solidale
- 6 feb 2017
In questi giorni, con decreto presidenziale, Trump ha sospeso l'ingresso negli Stati Uniti di cittadini in provenienza da 7 paesi africani e medio-orientali per 3 mesi, e di rifugiati per 6 mesi. Un'iniziativa senz'altro discutibile nel principio, ma tutto sommato piuttosto blanda: eppure un'ondata di indignazione internazionale così intensa e ampiamente condivisa non l'hanno provocata né le guerre unilaterali di Bush, dichiarate sulla base di menzogne, né i droni assassini di Obama (premio Nobel per la pace), in guerra permanente dal primo all'ultimo giorno del suo mandato.
Singolare, ma significativa, la reazione di Starbucks, la multinazionale del caffè che con un comunicato ufficiale ha annunciato l'intenzione di assumere 10.000 rifugiati. Va ricordato che, ogni volta che un'azienda a scopo di lucro si interessa di politica (o di ecologia, di giustizia, di salute ecc.) lo fa con un solo scopo: aumentare il profitto. Si tratta sempre di marketing. D'altro canto, assumere 10.000 rifugiati significa sfruttare una mano d'opera a buon mercato, cui disponibilità mantiene basso il costo del lavoro, e magari negoziare con gli stati incentivi fiscali.
Starbucks è la tipica azienda - anzi, "business model" in gergo aziendale - resa possibile non dalla globalizzazione in sé, ma dal contesto attuale di liberismo selvaggio che Trump, giudicandolo dannoso per gli interessi degli americani, ha deciso di contrastare. Oltre a schiavizzare i propri dipendenti, Starbucks sfrutta i produttori di caffè, vende OGM, e si industria con i soliti raggiri per evadere il fisco. L'apertura del primo Starbucks in Italia è prevista a Milano a settembre. Il fondatore, che sostiene l'Italia lo abbia ispirato, ha dichiarato: "Non abbiamo l'ambizione di insegnare agli italiani come si fa il caffè, ma vogliamo mostrarvi quello che abbiamo imparato".
Marco Amuso