OCSE: Italia rimandata?
- di Redazione Il Solidale
- 14 ott 2017
Parafrasando le conclusioni del "Rapporto sulle competenze" dell'OCSE, in questi giorni i quotidiani hanno titolato che in Italia i laureati sono pochi e impiegati in maniera inadeguata. Secondo il rapporto, il mercato del lavoro in Italia è caratterizzato da "skill-mismatch" (dovuto all'inadeguatezza del sistema educativo che incide sull'offerta di lavoro) e "low-skill equilibrium" (dovuto alla struttura della domanda di lavoro). I laureati di età compresa fra i 25 e i 34 anni sono il 20% contro la media OCSE del 30%; i lavoratori con competenze in eccesso sono il 12%, quelli sovra-qualificati il 18%, e il 35% è occupato in un settore non correlato ai propri studi. L'"equilibrio di bassa produttività e basse competenze", è determinato dall'ampia prevalenza nel sistema produttivo italiano di PMI, spesso a conduzione familiare, non competitive. Il problema di fondo è l'articolazione tra formazione e lavoro.
I dati, tuttavia, si possono interpretare diversamente. I laureati italiani sono pochi rispetto agli altri Paesi, sono sicuramente troppi per il mercato del lavoro italiano. Per partito preso, l'OCSE vede un'anomalia nell'agronomo che lavora in un'azienda che commercializza prodotti alimentari; nel laureato in scienze della comunicazione che gestisce un'azienda nel settore della fitoterapia; nel titolare di un MBA che rileva l'azienda agricola del padre; nella segretaria trilingue cui vengono affidate mansioni monolingue. Situazioni che evidenziano uno scarto sistematico fra livello di conoscenze e lavori svolti, osservabile anche in Paesi ritenuti più avanzati come la Francia. Inoltre, in un contesto economico di disoccupazione strutturale di massa, i giovani italiani che trovano impiego/ripiego nell'azienda di famiglia - con o senza laurea, pertinente o meno - sono al riparo dalla precarietà.
L'OCSE in effetti ha come obiettivo dichiarato quello di orientare in senso liberista le politiche della formazione e del lavoro dei Paesi membri: è un organismo politico, non scientifico. Posto che l'unica cosa che si può adattare a un mercato è un mercato, la soluzione del problema, così come viene formulato dall'OCSE, è quindi già implicita nei suoi termini: abolizione dello stato sociale e privatizzazione del sistema educativo. Solo così si garantisce l'efficienza del mercato del lavoro. L'OCSE invariabilmente elogia i passi compiuti in quella direzione e fustiga le esitazioni. Sul piano teorico, sono misure di economia politica che si possono difendere anche in buona fede. Ma non ne vengono mai messi in discussione i presupposti sul piano puramente etico.
Per capire come la pensano gli esperti dell'OCSE in materia di educazione, ad esempio, è sufficiente esaminare un indicatore da loro ideato, il PISA, usato per valutare il livello d'istruzione degli adolescenti: si tratta di un test somministrato ai quindicenni di un Paese o una regione che rileva le loro competenze in matematica, scienze e lettura, alla stregua di automi poco complessi. Perché proprio quell'età? In pratica l'OCSE dà i voti come a scuola e premia il conformismo più conclamato. Nel 2015 l'Italia risulta mediocre (matematica 30°, scienze e lettura 34° su 70; a Bolzano sono un anno avanti rispetto al Sud). I primi della classe sono ovviamente asiatici e i migliori europei dietro gli estoni sono i finlandesi.
Gli esperti dell'OCSE forse non sanno che la Finlandia è anche il Paese europeo col maggior numero di psichiatri. Non dicono che le università americane sono refrattarie ad accogliere dottorandi asiatici perché non contribuiscono in maniera significativa alla ricerca, che richiede meno diligenza e più creatività. Non studiano il fenomeno degli hikikomori in Giappone. Non tengono conto del fatto che i giovani asiatici studiano soprattutto per compiacere genitori che temono. Non spiegano perché in Corea del Sud la prima causa di mortalità nei giovani di età compresa fra i 10 e 30 anni è il suicidio. Ignorano l'esistenza di diciottenni cinesi che, alla fine di una lezione la domenica mattina, logori e spenti, ti chiedono "perché sento di aver imparato tanto ma di non sapere nulla?" La sociologia è una di quelle materie umanistiche che l'OCSE implicitamente considera inutili.
Marco Amuso