La scomparsa del burro
- di Redazione Il Solidale
- 31 ott 2017
L'immagine degli scaffali vuoti era emblematica dei Paesi dell'Est, in contrasto con l'opulenza dei nostri ipermercati. Ma da qualche settimana manca il burro nei negozi in Francia, primo produttore in Europa e primo consumatore al mondo con 8kg a testa l'anno. La singolare penuria è dovuta a un concorso di fattori eterogenei - naturali, commerciali, mediatici, culturali e psicologici, amplificati dalla speculazione - che dimostra la complessità dell'economia. Nel 2014 la prestigiosa rivista Time, nota soprattutto per le copertine, dedica un numero al burro: gli scienziati si erano sbagliati, in realtà il burro fa bene alla salute. Il consumo nel mondo anglosassone riprende, e in Cina aumenta, dove la gente ha scoperto i dolciumi burrosi. L'industria dolciaria sembra disposta a rinunciare all'olio di palma. Insomma, nonostante la moda vegana dilagante, cresce la domanda a livello mondiale. Contestualmente, si contrae l'offerta dei principali Paesi esportatori. In Nuova Zelanda il modello agricolo iper-produttivista è al limite; mentre in Francia, con l'abolizione delle quote latte il settore ridimensionato produce meno. Inoltre, lo scarso rendimento dei raccolti nel 2016 ha determinato la produzione di meno latte e con meno materie grasse. Per effetto della legge di mercato, il prezzo del burro è aumentato da €2,52/kg (05/2016) a €6,14/kg (10/2017). I produttori preferiscono vendere sui mercati internazionali, e in Francia ai grossisti piuttosto che alla grande distribuzione che si rifiuta di aumentare i prezzi al dettaglio. Infine, poiché la penuria era annunciata, i consumatori hanno moltiplicato gli acquisti per fare scorte, contribuendo così ad accentuarla. In Italia il consumo pro-capite di burro è di circa 2,5kg annui, in lieve aumento; la produzione nel 2016 è stata di circa t93.000 e tende a diminuire (per ulteriori dati sull'industria lattiero-casearia, v. www.clal.it).
Marco Amuso