Bancaetica, 10 anni di crisi: "è tempo di cambiare rotta"

  • di Redazione Il Solidale
  • 13 set 2018
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Bancaetica, 10 anni di crisi: "è tempo di cambiare rotta"

Mentre guidate tranquillamente, un'automobile a velocità folle vi prende in pieno. Si scopre che il conducente era completamente ubriaco. Polizia e istituzioni assicurano che pagherà e che verranno introdotte regole per porre fine al far west sulle strade. E invece dopo qualche mese non solo il responsabile non è in galera, ma scorrazza tranquillamente sulla sua auto, che è stata riparata con soldi pubblici. Al contrario nessuno vi ha rimborsato per i danni subiti. Siete bloccati senza auto, e scoprite che vi hanno aumentato le tasse perché dopo l'incidente devono rifare a vostre spese il manto stradale. Lo Stato decide però di dare incentivi per l'acquisto di automobili, ma solo per chi ha provocato incidenti guidando ubriaco. Intanto le uniche nuove regole del codice della strada sono dei divieti di circolazione per i ciclisti, mentre nel vostro quartiere organizzano un raduno di autisti ubriachi con il patrocinio del Comune. Surreale, vero?

Ripensiamo però a cosa è successo da quando, esattamente dieci anni fa, la Lehman Brothers dichiarava fallimento nel momento più drammatico ed emblematico della crisi.
Fiumi di inchiostro per denunciare le responsabilità del casinò finanziario, solenni promesse delle istituzioni di intervenire in maniera rapida quanto rigorosa. E invece?
Nessuno dei responsabili è stato condannato, mentre le banche sono state salvate con montagne di soldi pubblici; la crisi ha provocato danni giganteschi all'economia nel suo insieme, e in particolare alle fasce più deboli della popolazione, assieme a un vergognoso aumento delle diseguaglianze.
Al di là dei salvataggi, i mercati vengono inondati di liquidità. Oltre 11.000 miliardi di dollari dalle banche centrali di USA, Giappone ed Europa. Risorse che in massima parte rimangono incastrate in circuiti finanziari se non speculativi, senza arrivare all'economia reale.

Nel frattempo le nuove normative riguardano in massima parte l'attività creditizia delle banche. Quasi nulla sulle proposte per contrastare la finanza-casinò, dalla tassa sulle transazioni finanziarie alla separazione tra banche commerciali e di investimento ad altro ancora.
Il combinato disposto di eccesso di liquidità e mancanza di regole si traduce in un sempre più ampio scollamento tra i valori della finanza e i fondamentali dell'economia: la definizione stessa di una nuova bolla. Oggi il suo scoppio non sembra questione di “se”, ma di “quando e come”. Per molti versi siamo in una situazione addirittura peggiore rispetto al 2007: le Borse ai massimi, così come le paghe dei top manager; banche “too big to fail” ancora più grandi; strumenti finanziari sempre più complessi e sconnessi dalla realtà. Il tutto mentre conti pubblici ed economia portano ancora le cicatrici dell'ultimo disastro.

In questo quadro già desolante, l'aspetto più preoccupante non è tanto finanziario quanto culturale. E' incredibilmente tornata di moda l'idea che solo una finanza libera da lacci e laccioli potrebbe trainare l'economia. Le lobby finanziarie rialzano la testa e tornano senza vergogna a chiedere l'abbattimento di regole e controlli.
Per questo dobbiamo mettere in campo una “contro-lobby” per un radicale cambio di rotta. Partendo con il denunciare l'assenza di coraggio e di iniziativa politica di questi anni. E' su queste basi che le reti della società civile europea hanno deciso di lanciare la campagnaChange Finance, organizzando azioni e iniziative in tutta Europa in occasione dei dieci anni dal fallimento della Lehman Brothers.
Se c'è qualcosa di nuovo rispetto a dieci anni fa, se c'è un segnale di speranza, è proprio in questo impegno, nella consapevolezza di fasce sempre più ampie della società, di reti e organizzazioni. Persone che si interrogano sull'uso che viene fatto del loro denaro, partecipano e si pongono domande. Ora più che mai tale impegno è necessario. Siamo noi a dovere scendere in campo e cambiare le cose. Perché non possiamo aspettare passivamente la prossima crisi e i conseguenti disastri; perché non vogliamo accettare un sistema che privatizza i profitti e socializza le perdite; perché pretendiamo una finanza che sia al servizio dell'economia e delle persone, e non viceversa.

Redazione