La dodicenne Simona A., provetta giornalista, entusiasta per la gita al Museo della Pietrasanta
- di Redazione Il Solidale
- 30 lug 2020
- Rione Sanità 2.0
NAPOLI - Per Simona, 12 anni, autrice di questo articolo e partecipante ai laboratori predisposti nell’ambito del Progetto P.I.T.E.R., come quello del Corso di Giornalismo, che sta entusiasmando non poco bambini, adolescenti e operatori, “questa gita è stata molto gradevole, perché a differenza delle altre gite estive potevamo ascoltare la storia del complesso della Pietrasanta al fresco, senza accusare caldo e stanchezza. La mia parte preferita del complesso è quella che si trova al di sotto della struttura, in particolare ho apprezzato i cunicoli e i ricoveri”. La giornalista in erba si riferisce alla gita di ieri, mercoledì 29 luglio. Simona scrive: “Noi ragazzi del progetto P.I.T.E.R. Abbiamo visitato il complesso museale della Pietrasanta che possiamo metaforicamente paragonare ad una torta; il primo strato è rappresentato dalle antiche tradizioni greche, il secondo da quelle romane e culmina in quelle antiche napoletane. Partendo dal primo strato possiamo attraversare la storia dell'antica Grecia: i greci giunsero in Italia e colonizzarono Napoli, dandogli il nome di Neapolis, cioè "città nuova" . Con loro portarono il culto delle statuette, che conserva un'antica leggenda: Persefone, figlia di Demetra dea della fertilità, venne rapita da Ade, Dio degli inferi. Dalla tristezza di Demetra si dice che giungano le 4 stagioni. È per questo che le statuette che la raffiguravano erano così vendute! Si credeva che adorando Demetra si potesse godere di un fruttuoso anno. Successivamente ci siamo avvicinati ad una teca che conteneva alcune delle prime monete di Neapolis, sopra cui erano impresse raffigurazioni della sirena Partenope, che non riuscendo ad ammaliare Ulisse decise di suicidarsi sulle coste di Napoli, oltre che immagini della testa di Atena, Dea della saggezza, dell'arte e della guerra, e di cavalieri al galoppo, segno di unione con Taranto. Ci siamo poi imbattuti in un percorso ripido e tortuoso che ci ha portati in delle cave di tufo giallo, pietra vulcanica tipica dei campi Flegrei. In queste cave sono presenti delle antiche cisterne d'acqua, dove lavoravano gli addetti alla pulizia dell'acquedotto romano, i quali utilizzavano una tecnica particolare per capire se l'acqua era potabile: facevano immergere anguille e capitoni, molto apprezzati dai napoletani nel periodo natalizio. L'ultima parte delle cave è dedicata a rifugi e ricoveri risalenti alla seconda guerra mondiale, con tanto di bagni e loculi dove accendere il fuoco. Come già detto questo complesso museale fonde più di tre periodi storici, fornendo una visione a 360 gradi sulla suggestiva e unica storia di Napoli! E concludo affermando che sia io che Francesco D. e Vincenzo G., giovanissimi miei coetanei, siamo rimasti molto affascinati dalla storia del monaciello che avvolge la nostra città”. Simona A.