La scrittrice Santina Paradiso e il suo "8 marzo, Giornata internazionale dei diritti della donna"

  • di Redazione Il Solidale
  • 8 mar 2021
  • OPINIONI

La scrittrice Santina Paradiso e il suo "8 marzo, Giornata internazionale dei diritti della donna"

L’8 marzo, Giornata internazionale dei diritti della donna,  è ogni anno occasione propizia per fare memoria  delle conquiste sociali, economiche e politiche delle donne, ma anche per ricordare le discriminazioni e le violenze a cui le stesse ancora soggiacciono in molte parti del mondo, a causa delle diverse condizioni di vita, di lavoro e d’istruzione. Nei Paesi in via di sviluppo, infatti, le donne subiscono discriminazioni di genere e molti ostacoli impediscono il loro pieno inserimento nella vita sociale, politica ed economica. In ogni parte del mondo il discrimine tra democrazia e autoritarismo, tra progresso e arretratezza, è individuato nella presenza o nell’assenza delle donne nelle istituzioni e sulla scena politica, nell’affermazione o nella negazione della loro libertà, dei loro diritti e del principio di parità.

Negli ultimi decenni sono state indette dalle Nazioni Unite conferenze mondiali, al fine dell’uguaglianza di genere e per il progresso della condizione femminile, sia nei diritti umani fondamentali, sia nella dignità e valore della persona umana: a Città del Messico (1975), a Copenaghen (1980), a Nairobi (1985), a Pechino (1995, dove la donna cinese è stata definita “l’altra metà del cielo”), a New York (2005) e a Milano (2015). 

In Italia, seppure la presenza femminile nella vita pubblica sia aumentata, la donna, rispetto ai Paesi del Nord Europa, ha  un’incidenza inadeguata nelle istituzioni politiche rappresentative. Nonostante le enunciazioni di parità a livello costituzionale e comunitario, sono pur sempre necessari interventi legislativi finalizzati a rimuovere ogni forma di ghettizzazione della donna ed a promuovere la sua partecipazione sociale e  la rappresentanza politica.

All’origine di questo discrimine c’è un dato storico. Per secoli nel  mondo occidentale le donne sono state escluse dalle professioni, dai posti-chiave della società e dalla vita politica. Dopo circa due secoli di lotte e d’impegno civile, a seguito di profonde trasformazioni sociali, le donne sono comunque oggi presenti nel mondo del lavoro e nel governo della cosa pubblica, ma hanno un’incidenza ancora inadeguata nei processi decisionali.

In Italia tra fine Ottocento e primo Novecento le donne erano la maggioranza degli analfabeti. Nell’industria la loro presenza non è rilevante; le poche diplomate e laureate sono occupate esclusivamente nella scuola, tanto che fa scalpore la prima laurea in medicina di Maria Montessori nata nel 1870 e fino alla metà del Novecento non contano nulla politicamente.

L’emancipazione delle donne inizia con la loro istruzione (obbligatoria dal 1962), che determina un allargamento degli orizzonti culturali e la possibilità di fare scelte di vita, facendo maturare in esse una coscienza politica. Nel Novecento, “Il Secolo delle donne”,  in piena società industriale, le donne hanno cominciato a contare di più nel mondo del lavoro, con un più sviluppato senso di responsabilità sociale, e in campo politico. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento nascono alcune organizzazioni impegnate sul fronte dei diritti civili e politici. Agli inizi del Novecento le donne cominciano ad affermarsi nella letteratura e nel cinema. La manodopera femminile diviene consistente durante la prima guerra mondiale quando deve sostituire quella maschile, richiamata al fronte, nelle fabbriche, negli uffici e nei servizi. La seconda guerra mondiale aumenta la presenza femminile nelle fabbriche, negli uffici e nei servizi pubblici, facendo maturare nelle donne una coscienza politica.

Dopo anni di lotte il Decreto Bonomi (1° febbr. 1945), introduce in Italia il suffragio universale anche per le donne e, dopo un anno, viene sancito anche il diritto all’elettorato passivo. Il 2 giugno 1946 le donne votarono in massa per il Referendum istituzionale su Monarchia e Repubblica e per l’elezione dell’Assemblea Costituente, in cui furono elette 21 donne, cinque delle quali fecero parte della commissione dei 75 che elaborò la Costituzione repubblicana, riuscendo a far iscrivere nella Carta Costituzionale alcuni principi, a garanzia  dei più  alti diritti civili, sociali e politici di tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, fede o razza, caposaldo di importanti conquiste legislative sul piano sociale e civile. Le poche donne che ai vari livelli, nel dopoguerra, avevano responsabilità politiche, traevano talvolta esperienza nell'associazionismo femminile laico borghese (UDACI,  CIF Centro Italiano Femminile, nato nel 1945, ACLI femminili).

Già in Sturzo c’è l’intuizione di formare politicamente le donne e a questo scopo venne eletta  nel I Congresso Nazionale del Partito Popolare Italiano (1919) Giuseppina Novi Scanni. L’Unione delle Donne Cattoliche d’Italia era già nata nel 1908, per iniziativa della principessa Giustiniani, ma il Pontefice Pio X aveva chiesto che dallo statuto venisse esclusa la politica. Nel 1919 iniziava anche l’attività di circoli universitari femminili cattolici. Nel 1944 l’eredità del Partito Popolare venne raccolto dalla Democrazia Cristiana di De Gasperi che volle proseguire l’inserimento delle donne nella vita attiva del paese. Il compito di costituire il Movimento Femminile venne affidato nel 1944 ad Angela Gingolani.

Il nostro Paese sarebbe diverso, sarebbe meno moderno, meno civile, meno vivibile se le donne in quel lontano giorno non avessero conquistato il diritto di voto. È nell’«Appello ai Liberi e Forti», lanciato da Sturzo nel 1919, che s’innestano quei principi che avrebbero influito sull’estensione del voto alle donne e sulla redazione della Costituzione repubblicana, in particolare dell’art. 3. In effetti i principi generali di Sturzo indicano prospettive:  “…domandiamo la riforma dell’istituto parlamentare sulla base della rappresentanza proporzionale, non escluso il voto alle donne”. Bisogna rammentare che queste posizioni non erano del tutto accettate dalla società di inizio Novecento. Questo passaggio concentra in sé intuizioni e approdi di straordinaria innovazione. Sturzo sosteneva, nel decalogo dei buoni principi e delle buone prassi da applicare in politica: “Non disdegnare il parere delle donne che si interessano alla politica. Esse vedono le cose da punti di vista concreti, che possono sfuggire agli uomini.”

Una delle 21 donne dell’Assemblea Costituente (a fronte di 556 uomini), nata e vissuta a Caltagirone, fu  Ottavia Penna Buscemi, eletta il 10 giugno 1946 nella lista del Fronte dell'Uomo Qualunque. Fu una delle cinque donne componenti la Commissione dei 75 che elaborò il progetto di Costituzione; venne candidata a Presidente della Repubblica, quale unica donna, in competizione con Enrico De Nicola, poi eletto.

In Sturzo c’è la necessità di porre al centro dell’azione della politica la dignità della persona, senza distinzione di genere, che va oltre  a quella che era la posizione della Rerum Novarum  (1891), di Leone XIII, che mirava alla  tutela dei diritti dei più deboli e proponeva di riservare alle donne mansioni a loro consone. Al secondo punto del programma sturziano c’è la lotta contro l’analfabetismo. Sturzo da maestro illuminato era fermamente convinto che con l’istruzione si potessero vincere molte battaglie.  Forse fu per questo che Sturzò si rapportò con Maria  Montessori, la quale non dimenticò mai il piccolo prete che per primo aveva preso diretto interesse alla sua iniziativa a favore della scuola e l’aveva incoraggiata.

Fra la legislazione a favore delle donne ricordiamo: nel 1950 la Legge sulla tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri e nel 1960 con un accordo interconfederale è sancita la parità formale e sostanziale tra uomini e donne nel mondo del lavoro attraverso l’eliminazione delle tabelle remunerative differenti per uomini e donne. L’introduzione della scuola dell’obbligo (1962) pone fine alla condizione di analfabetismo e alla vergognosa discriminazione fra maschi e femmine. Bisogna aspettare il 1963 perché la legge permetta alle donne di accedere a tutti i pubblici uffici, compresa la magistratura. Nel 1974 c’è la riforma del diritto di famiglia e le donne ottengono la parità dei diritti civili. Nel 1977 viene approvata la legge di parità modificata nel 1991 dalla nuova normativa sulle pari opportunità. Nel 1997, viene emanata la direttiva che stabilisce l’inclusione in tutti i testi legislativi della dizione uomo-donna.

Anche la Chiesa promuove la dignità delle donne e il suo impegno socio-politico. Già il Concilio Vaticano II sostiene che è giunta l’ora: “in cui la vocazione della donna si svolge con pienezza, l’ora in cui la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto”. C’è quindi la promozione effettiva della dignità e della responsabilità delle donne. Paolo VI asserisce: “Nel Cristianesimo, più che in ogni altra  religione, la donna ha fin dalle origini uno speciale statuto di dignità”. Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Mulieris dignitatem (1988) tratta del"mistero della donna" e “della sua dignità femminile”. Con lettera del 29 giugno 1995, il Papa esprime che “Donna e uomo sono tra loro complementari” e sottolinea l'immensa disponibilità delle donne a spendersi nei rapporti umani, specialmente a vantaggio dei più deboli e indifesi. Benedetto XVI, ha pregato “Perché sia adeguatamente riconosciuto in tutto il mondo il contributo delle donne allo sviluppo della società”. Per Papa Francesco la donna è colei che fa il mondo bello, capace di far rinascere l’umanità, di dare speranza al mondo, definisce le donne fantastiche e lottatrici,  fonte  di vita. Sostiene che da come trattiamo il corpo della donna comprendiamo il nostro livello di umanità.

Molte sono le conquiste della donna, ma molto ancora resta da fare, per i tanti ostacoli che, in varie parti del mondo, si frappongono a che la donna sia riconosciuta, rispettata, valorizzata nella sua peculiare dignità, per cui si rende urgente l’effettiva uguaglianza dei diritti della persona. Certamente l’essere donna implica una sensibilità percettiva maggiore e una complessità interiore  che induce più facilmente alla mediazione, alla risoluzione dei conflitti, a cogliere i bisogni, a costruire relazioni, a elaborare idee creative, ma la diversità non  deve essere antagonismo, ma complementarietà dell’essere uomo e dell’essere donna. La donna deve competere non in quanto donna, ma in quanto essere umano. La cosa fondamentale nella vita è la collaborazione, l'ineguagliabile sensazione di far parte di qualcosa di più grande di noi, la partecipazione, la condivisione, l’andare oltre insieme. Solo così riusciremo a dimostrare quale sia la nostra vera forza, quella forza così comune, così diversa.   Santina Paradiso, scrittrice