"Quando la formazione genera impresa" di Maria Pangaro, direttore dell'EFAL
- di Redazione Il Solidale
- 9 apr 2021
- OPINIONI
La questione della formazione professionale degli immigrati non è un semplice problema di adeguamento di un segmento dell’offerta di lavoro alle esigenze dei sistemi economico-produttivi. Essa richiede in primo luogo una riflessione sui diritti degli stranieri e sulle politiche atte a promuoverne il riconoscimento e l’effettiva fruizione nelle società ospitanti. In tale contesto delineato, la formazione professionale può essere inquadrata all’interno dei diritti sociali degli immigrati per favorirne l’inclusione lavorativa e sociale. Malgrado le tante difficoltà, il lavoro immigrato ha assunto un’importanza crescente nel sistema economico italiano. Questo vale non solo per l’economia sommersa, ma anche per il mercato del lavoro ufficiale. Nonostante le carenze, le fonti statistiche documentano in maniera molto chiara l’incremento della partecipazione degli immigrati. Anche se in maniera imprecisa e frammentaria, i dati disponibili confermano che si tratta in gran parte di lavori manuali a bassa qualificazione, spesso temporanei, stagionali o in vario modo precari. Ma come in tutti gli ambiti anche qui si hanno delle evoluzioni e la formazione professionale svolge davvero un ruolo fondamentale sviluppando figure professionali e opportunità imprenditoriali come è accaduto negli ultimi tempi. Nel 2020, in Italia, una impresa su dieci è a guida straniera. L’imprenditoria immigrata è in forte crescita ed è una realtà che guida oltre 630 mila aziende e di queste 3 su 4 sono individuali. In aumento sono, in particolare, gli imprenditori provenienti da Nigeria, Pakistan e Albania, mentre sono in calo più marcato quelli originari della Cina e del Marocco che, comunque, insieme alla Romania restano in termini assoluti la business community straniera più numerosa nel nostro Paese. E’ quanto risulta dalla fotografia scattata da Unioncamere e InfoCamere sulle imprese di stranieri iscritte al Registro delle Imprese delle Camere di Commercio a dicembre 2020 che evidenzia una crescita del 2,9% rispetto ai dodici mesi precedenti. Il dato importante da evidenziare non è semplicemente legato alla quantità delle imprese ma risulta ancora più rilevante l’investimento nel capitale umano per generare nuove competenze settoriali. In altri termini, la formazione non è solo uno strumento delle politiche del lavoro, ma trova collocazione nell’ambito delle politiche per l’integrazione degli immigrati e questo dato dell’aumento dell’imprenditoria straniera in Italia lo dimostra chiaramente. Inoltre, la formazione non è solo una via all’integrazione futura, ma anche un luogo in cui, qui e ora, già si realizzano processi di integrazione: tra immigrati di differenti provenienze e condizioni sociali, spesso divisi da pregiudizi e contrapposizioni antiche e recenti; e soprattutto tra discenti e formatori, intesi come singoli e come istituzioni. La formazione è un luogo intermedio e in un certo senso protetto, in cui è possibile attutire i rumori molesti e filtrare le scorie amare che il faticoso processo di inserimento in una società aliena, diffidente, spesso ostile, lascia nella memoria delle persone. Nel contesto formativo è possibile porre domande e ricevere risposte, raccogliere e decodificare informazioni, verificare la fondatezza di notizie raccolte, esporre esperienze vissute, manifestare preoccupazioni e disagi, elaborare aspirazioni e progetti, confrontare costumi, valori e visioni della vita, andando oltre gli angusti confini del clan familiare o della comunità etnica. E tutto questo senza timore di apparire importuni, di suscitare insofferenza o ironia, di alimentare stereotipi e pregiudizi. In questo senso la formazione può essere vista come una “nicchia di accoglienza”, in cui sia possibile costruire relazioni di reciprocità, fondate “su quel sapere del quale gli immigrati in questo caso hanno bisogno come l’aria per non continuare ad essere ‘sordi’ in mezzo ad un popolo di ciechi”. Maria Pangaro Direttore dell’EFAL