“Mi chiamo Maris e vengo dal Mare” in scena lunedì 20, ore 19, Villa Patti, Giornata Rifugiato. Parlano Melania Manzoni e Chiaraluce Fiorito
- di Redazione Il Solidale
- 19 giu 2022
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(Salvo Cona) CALTAGIRONE. “Mi chiamo Maris e vengo dal Mare” è il titolo dello spettacolo che sarà portato in scena a Caltagiroe, lunedì 20 giugno, alle ore 19, a Villa Patti, in via Santa Maria di Gesù, nell’ambito della Giornata del Rifugiato 2022. Il progetto drammaturgico -che unisce una parte di studio con la consultazione di interviste, video, film e testimonianze- è stato curato da Melania Manzoni. Tratto da una storia vera, lo spettacolo "Mi chiamo Maris e vengo dal Mare" è stato scritto, diretto e interpretato da Chiaraluce Fiorito (nella foto di Antonio Sollazzo) che ha privilegiato una scrittura teatrale che si adattasse alla messinscena. Ed è proprio a Chiaraluce che chiediamo come questo progetto drammaturgico ricco di tematiche si sia trasformato in testo teatrale? “Posso solo dire –risponde l’artista- che ho sentito l'esigenza di una partitura musicale che non ha niente a che vedere con la musica né con la metrica poetica ma interna alle parole, al loro contenuto; restituire emozioni vere, un susseguirsi di concetti come quadri illustrati, come pagine di un libro però non letto ma vissuto, una resa immediata a far vivere un racconto nel momento presente. La scrittura teatrale unita ad una gestualità… che potrebbe sembrare didascalica… ma per quanto mi riguarda rafforza i concetti e i temi affrontati di volta in volta, in completa empatia tra lo spettatore e la mia Maris. Certamente la mia riscrittura è in funzione di un testo teatrale su cui poter lavorare come interprete e non mi reputo un drammaturgo”. E cosa ci dici delle scelte registiche? “Raccontare la storia di Maris che viene dal mare, (il nome è di pura fantasia per motivi di sicurezza, ma è il giusto nome per la sua protagonista) è un grido rivoluzionario e controcorrente. La messinscena prende spunto dal mito, dall'archetipo della tragedia: la guerra, il viaggio, la schiavitù, il naufragio, un rituale arcaico di iniziazione. Una rete da pesca domina la scena e i movimenti. La rete è il simbolo dei legami del passato e del presente, dei nodi difficili da sciogliere e dai quali Maris tenta di staccarsi. La rete da pesca è un simbolo ma è anche un elemento molto forte della rappresentazione: non è mai due volte uguale durante la messa in scena. Questo crea dinamismo, imprevedibilità e ritmo ai momenti e alla scena. Un altro elemento scenico da cui sono partita prima della rete -spiega Chiaraluce- è una ‘pignata’, una pentola antica, ancestrale, nel quale avviene simbolicamente il viaggio, la traversata e da cui parte il rito ‘iniziatico’ : una danza tribale attraverso cui si delineano i passi, il percorso tortuoso di questa giovane donna sopravvissuta allo sfruttamento, alla guerra, al mare che diventa tomba di cadaveri senza nome”. Interpretare questo personaggio, che significato ha per te? “Il monologo ‘Mi chiamo Maris e vengo dal mare’ è come un libro che apro al momento e lo racconto invertendo le pagine, soprapponendo i capitoli, disegnando tratti, gesti, parole intrappolate in una rete da pesca che diventa pagine da sfogliare, l’ultima delle quali è l’inizio di una nuova storia. Il cammino intrapreso con la mia Maris avviene il preciso istante in cui decido di inserire nel titolo dello spettacolo il mio secondo nome di battesimo e da quel momento il viaggio è iniziato. Non interpreto un personaggio –conclude l’attrice- ma narro una vicenda vissuta… Quel racconto diventa parte di me come narratrice, come interprete e come donna. Non ci si nasconde dietro al personaggio nei racconti: la narratrice fa rivivere pagine di storie e questa è quella di Maris. Anche Tu… dico allo spettatore, lettore, pubblico… dai il tuo nome a questa pagina di Maris”. Come abbiamo già scritto, il progetto drammaturgico che unisce una parte di studio con la consultazione di interviste, video, film e testimonianze è stato interamente curato da Melania Manzoni la quale spiega che “il progetto nasce e si sviluppa digitalmente, perché io e Chiaraluce siamo dislocate in due parti d’Italia diverse... Per quanto riguarda la scrittura, in particolare abbiamo sviluppato molti dei passaggi cruciali della storia riflettendo su cosa… anche scenicamente… potesse essere rappresentato”. Ma su chi sia Maris e qual è la sua storia, la Manzoni sottolinea ancora una volta che “Maris non è un personaggio di fantasia e la sua storia non è una fiction. Maris è una migrante che, come tante altre, arriva in Sicilia per mare e che ha in grembo il frutto di una violenza. Maris scopre il sentimento di una maternità conflittuale, fatta di slanci di amore viscerale ma anche di profondo dissidio interiore. Dal nucleo potente della vera storia della protagonista, parte la drammaturgia. Ma rassicuriamo lo spettatore che questa storia non è un reportage o una cronaca giornalistica. È semplicemente una storia “simbolo” che ha in sé molti elementi archetipici: la guerra, la migrazione, il rapporto con il genos, la famiglia di origine e poi la figlia. E la sua 'catarsi' finale annuncia una nuova rinascita per la figlia”. Qual è il messaggio che volete consegnare allo spettatore? “Il monologo vuole fare domande scomode, lanciare provocazioni e invita lo spettatore a mettersi nei panni dell'altro, l'immigrato, lo straniero. Vorremmo che per quasi sessanta minuti lo spettatore sospendesse il proprio punto di vista, per incontrare Maris… Insomma, –conclude Melania Manzoni- questa è una storia come tante. Una storia che i nostri figli non leggeranno mai sui libri di storia, ma è altrettanto importante raccontarla per far uscire questi e molti altri fatti dal silenzio della Storia”. Le improvvisazioni vocali sono di Giulia La Rosa, la produzione è di “Retablo Dreamaturgy Zone”, in collaborazione con “Latitudini”.