Il potenziale inespresso del grano di Sicilia

  • di Redazione Il Solidale
  • 2 dic 2015
  • OPINIONI

Il potenziale inespresso del grano di Sicilia

Un problema alimentare emerso negli ultimi anni è quello delle intolleranze, in particolare al glutine, una combinazione di proteine naturali contenute nei cereali che, ottenuta dall'aggiunta di acqua ed energia meccanica, favorisce la coesione e viscosità degli impasti destinati alla panificazione. I sintomi sono, in generale, difficoltà di digestione, senso di pesantezza ed emicranie. La risposta dei mercati, come spesso accade quando sorge un nuovo bisogno, è stata tempestiva: la diffusione di alimenti senza glutine e farine alternative ha già superato i canali distributivi specializzati per raggiungere anche i supermercati convenzionali e i ristoranti.

Questo sviluppo è affiancato, secondo una prassi consolidata della nostra epoca, dal sistema medico-clinico (che invita ciascuno a farsi analizzare per meglio pentirsi del proprio stile di vita insalubre) e dal suo braccio operativo farmaceutico (che offre, nel frattempo, "rimedi" sempre più potenti ed efficaci per curare i sintomi del mal di testa, oppure intrugli chimici per "bilanciare" o "favorire" la digestione). La con-fusione di queste due tendenze, di mercato e di laboratorio, produce automaticamente nella gente, sotto forma di epifanie pilotate, la convinzione che il glutine fa assolutamente male, e quindi bisogna affrettarsi a rimediare, preferibilmente con l'assistenza degli esperti e delle loro pozioni, prima che sia troppo tardi, e seguendo assiduamente i consigli degli amici che prima di noi hanno imboccato la via della salvezza. Si rafforza quindi, in un clima politico favorevole all'igiene sociale, anche la moda individuale del salutismo militante.

Chiaramente non è il glutine che fa male in sé: ma, come sempre, l'eccesso, e il suo contorno di zelo da un lato, e ansia dall'altro. Anzi, il glutine, essendo un composto proteico, è una integrazione importante nelle diete esclusivamente vegetariane in cui sono assenti le proteine animali. In generale, la pasta, il pane e i derivati del grano di cui facciamo abbondante uso nelle diete convenzionali, in effetti, contengono quantità elevate di glutine. Ma già in partenza, la cosiddetta farina bianca è ricca di proteine che compongono il glutine, e presenta un indice glicemico alto: i disturbi legati all'alimentazione che oggi sono i più diffusi, sono gli stessi che un tempo si potevano permettere solo le classi più agiate, e più ingorde, cui membri soffrivano di diabete, gotta, obesità e malattie cardiache, e cui stile di vita abbiamo adottato in massa scambiandolo per benessere. La critica cieca del consumismo non porta a nulla senza una comprensione oggettiva dell'etica del consumo.

D'altro canto, più i derivati del grano contengono glutine, più questi sono in grado di sopportare le temperature alte di essiccazione richieste dai cicli produttivi industriali. Perciò il grano moderno è pressoché uniforme nel contenuto di proteine che formano il glutine – la logica industriale è mera applicazione del dato della fisica. Da qui deriva, suppongo, l'opinione diffusa presso i consumatori, secondo cui la pasta che richiede tempi di cottura lunghi è una pasta buona, scarsa invece quella che cuoce presto. Certamente, una pasta qualsiasi che cuoce in un quarto d'ora si presenta gradevole alla vista e al palato, e si presta bene agli spot pubblicitari, ma per lo stomaco è un pugno indigeribile di glutine. Va bene per chi si diletta in porzioni da assaggio; va bene per il consumo ordinario dei francesi e degli americani, che ne mangiano 8kg a testa l'anno (1 pasto su 13), e soffrono per conto loro di altri squilibri alimentari; un po' meno per gli italiani che invece ne consumano a testa 25kg l'anno.

La superficie dedicata alla coltivazione del frumento duro in Sicilia rappresenta circa il 25% del dato nazionale, e contribuisce per 1/5 alla produzione complessiva italiana: questo il primato attuale della Sicilia. Ma è sul suo potenziale inespresso che puntano sempre più imprenditori agricoli. L'Isola rappresenta il 50% della bio-diversità italiana, che a sua volta rappresenta il 50% di quella europea: in particolare, il patrimonio agricolo siciliano è ricco di grani autoctoni, nonché “antichi”, ossia tipologie di grano, per dirla in parole povere, che non hanno subìto la selezione forzata in chiave industriale – ben 49, coltivabili su circa 370.000 ettari di terreni tuttora improduttivi. La quantità e la tipologia di glutine che risulta dalla lavorazione dei grani antichi sono in linea di principio più consone all'alimentazione sana. Più adeguate anche in ottica di uno sviluppo economico duraturo sono le modalità di coltivazione e lavorazione di questi grani “biologici”, sostanzialmente autonome rispetto alla potente filiera fito-chimico-farmaceutica, che quindi perpetuano la bio-diversità naturale, non impoveriscono i terreni e generano una produzione agricola in linea con livelli naturali di fabbisogno alimentare. Marco Amuso