L'embargo che danneggia tanto l'economia siciliana

  • di Redazione Il Solidale
  • 8 dic 2015
  • OPINIONI

L'embargo che danneggia tanto l'economia siciliana

Il 14 settembre 2015 l'Unione Europea decide di prorogare per altri 6 mesi le cosiddette “misure restrittive aventi come oggetto azioni contro l'integrità territoriale, la sovranità e l'indipendenza dell'Ucraina”: misure, in sostanza, che sospendono accordi di cooperazione bilaterali con la Russia, e ne limitano l'operatività nel settore finanziario. Senza entrare nel merito di questa decisione, simbolica ancora prima che politica, ci sarebbe da interrogarsi sulla legittimità di imporre sanzioni ad una nazione terza, in difesa di un'altra che non fa parte dell'Unione. Il governo russo risponde prorogando l'embargo nei confronti delle importazioni in provenienza dalla UE, una contro-misura che penalizza tutti i settori economici italiani in rapporti con la Russia.

Non è necessario uno studio approfondito per capire che le sanzioni imposte dall'Unione Europea danneggiano l'economia europea senza incidere sulla politica russa nei confronti dell'Ucraina: anzi, come spesso accade, le sanzioni diventano motivo di propaganda per fini di politica interna, rafforzando le posizioni politiche estreme che si intende indebolire. Le istituzioni europee concedono che gli effetti economici sono negativi, ma ovviamente minimizzano sostenendo che, sul medio termine, le esportazioni verso altri mercati saranno tali da compensare la contrazione del commercio con la Russia. Già ammettono di aver sottostimato i costi; a parte ciò, questo è il punto di vista dell'istituzione europea che parla a sé stessa, e si occupa di astrazioni macroeconomiche senza alcun riguardo per la singola azienda che, non potendo più commerciare con la Russia per cause di forza maggiore si trova a dover registrare perdite mentre cerca un mercato di sbocco sostitutivo.

Sebbene secondo alcune stime provvisorie le esportazioni siciliane verso la Russia siano inferiori del 20% rispetto all'anno scorso, e meno della metà da quando sono in vigore le sanzioni europee, il contro-embargo russo non incide sulle esportazioni siciliane nel complesso: nel 2014, le esportazioni verso la Russia ammontavano a ca. € 18 milioni, di cui ca. € 6 milioni nel settore agroalimentare (soprattutto vino), cifre non irrilevanti, ma ancora indicative di un commercio episodico. Tuttavia, il contro-embargo russo stronca sul nascere rapporti commerciali in forte sviluppo negli ultimi cinque anni, destinati ad un rapido consolidamento, e dovuti dall'interesse crescente da un lato degli imprenditori siciliani verso i mercati esteri, e dall'altro dei consumatori russi verso i prodotti agroalimentari e artigianali siciliani. Occorre segnalare, d'altro canto, che le importazioni siciliane dalla Russia, principalmente idrocarburi, ammontavano a € 3,8 miliardi nel 2014 – ossia il 99,5% dell'interscambio totale Sicilia-Russia: le proporzioni sono rimaste sostanzialmente invariate. Più che di un danno vero e proprio, si tratta quindi di una (altra) opportunità persa.

La situazione commerciale con la Russia offre uno spunto di riflessione sulla competitività internazionale della Sicilia, sulla quale incidono non tanto ostacoli esterni all'isola, come in questo caso l'UE, o in generale la congiuntura economica mondiale, quanto piuttosto fattori puramente endogeni. Il commercio estero della Sicilia, nel complesso, rispecchia un'economia non “in sofferenza” né “sotto-sviluppata” - termini che implicano un pregiudizio morale, ma più precisamente anomala. In altri termini, un'economia che non esprime il valore reale del capitale produttivo e umano della Sicilia, e quindi la sua reale competitività sui mercati internazionali di beni e servizi, bensì le conseguenze di scelte incestuose politico-aziendali, imposte dall'alto, obsolete già quarant'anni fa, e di politiche di (dis)incentivi all'agricoltura che di fatto hanno trasformato i produttori agricoli siciliani in stipendiati dallo Stato. Insomma un'economia che, allo stato attuale, non esiterei a definire artificiale.

In effetti, il settore che trascina le esportazioni siciliane non è quello manifatturiero, questo non sorprende; né quello agricolo, bensì il petrolchimico, che da solo riguarda più del 65% in valore delle esportazioni totali; essendo i poli petrolchimici a Priolo e Milazzo, le province di Siracusa e Messina da sole contribuiscono all'80% delle esportazioni dell'intera isola. Di questo primato non esistono tracce sul territorio (i dati sull'occupazione, ad esempio, piazzano entrambe le province in fondo alla classifica), se non l'inquinamento ambientale che lasciamo in eredità alle generazioni future. Anche al netto del settore petrolchimico, i dati incrociati provinciali e settoriali delle esportazioni evidenziano forti squilibri interni alla Sicilia, che, a mio parere, sono sintomatici dell'esistenza non tanto di capacità economiche diverse quanto piuttosto di culture imprenditoriali eterogenee – accomunate però dalla volontà di confrontarsi con i mercati esteri. Marco Amuso